PATER FAMILIAS_dentro le mura

 

di Fiammetta Carena

con Riccardo Balestra, Federico Benvenuto, Tommaso Bianco, Diego Gianettoni, Maurizio Sguotti

scene e costumi Francesca Marsella

luci e suoni Enzo Monteverde

movimenti Davide Frangioni

regia Maurizio Sguotti

produzione Kronoteatro

durata 50 minuti

 

Il progetto FAMILIA di Kronoteatro inaugurato con “Orfani_la nostra casa” prosegue con un secondo spettacolo scritto dalla drammaturga Fiammetta Carena. Come con Orfani, anche in questo spettacolo viene indagato il rapporto tra generazioni, il tragico vuoto dove non vi è coscienza di sé e il richiamo all’omologazione esercitato dal gruppo. “Il male” e  la crudeltà sono allora illusoria soluzione, estrema forma di contenimento, di semplificazione.

Sulla scena si muovono tre entità: un padre, un figlio e il branco degli amici del figlio. Il registro narrativo è duplice. Da una parte una realtà contemporanea scarna e afasica: un padre vedovo e di estrazione sociale modesta, un figlio rabbioso e dall’identità incerta e un gruppo di giovani ferocemente uniformati ai riti imperanti. Dall’altra parte il suo riflesso: uno spazio onirico e astratto che trova rappresentazione in un labirinto. Quel un labirinto che il padre ossessionato dalla manualità ha costruito come modellino  e che prende forma diventando un luogo fantastico,  un paesaggio della mente in cui prendono vita  impulsi, paure e desideri dei personaggi.

Quello di Pater Familias, spettacolo dall’andatura incalzante e vorticosa scandita dai battiti violenti di una cupa musica elettronica, è un mondo in cui il gruppo di giovani esprime il proprio vuoto solo con un crescendo di ferocia e ciò che anima i corpi è proprio quel palpito brutale ed ossessivo. È la fisicità dei protagonisti il principale strumento di comunicazione e soltanto il ritmo febbrile che scorre nelle loro vene è la linfa vitale capace di soddisfare il loro represso istinto di autoaffermazione. Padre e figlio, nell’assenza di una figura femminile compensatrice, consumano scontri sempre più violenti. Il branco, cui il figlio anela invano ad appartenere totalmente, consuma gesti e  parole via via più distruttive. Nel non luogo e nel non tempo del labirinto si esercitano magicamente pulsioni e fantasie sospese non esprimibili altrove. Tra frequenti riferimenti al mito, un crescendo di impotenza e delirio, di scontro e smania di appartenenza, irrompe l’atto conclusivo.

 

Spettacolo vincitore Fringe2Fringe Napoli

Teatro Festival 2011

Spettacolo finalista Premio Rete Critica 2012

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